NASpI e dimissioni: casi in cui l’impresa è tenuta o Esente dal pagamento del ticket
In caso di dimissioni per giusta causa, il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket "NASpI"
In caso di dimissioni per giusta causa, il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket di licenziamento all'INPS, così come avviene in caso di licenziamento.
Questo contributo, noto anche come "contributo di ingresso alla NASpI", è dovuto per finanziare l'indennità di disoccupazione a cui il lavoratore ha diritto a seguito delle dimissioni per giusta causa, considerate una causa involontaria di interruzione del rapporto di lavoro.
Ecco i dettagli:
Cosa sono le dimissioni per giusta causa?
Sono dimissioni presentate dal lavoratore a causa di comportamenti del datore di lavoro che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, come il mancato pagamento dello stipendio, il mobbing, o altre gravi inadempienze contrattuali.
Perché il datore di lavoro deve pagare il ticket?
Il ticket è dovuto perché le dimissioni per giusta causa danno diritto al lavoratore a percepire la NASpI, l'indennità di disoccupazione, e quindi rappresentano un costo per il sistema previdenziale che il datore di lavoro deve contribuire a finanziare.
A quanto ammonta il ticket?
L'importo del ticket è pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Casi particolari
Il ticket è dovuto anche in caso di dimissioni presentate durante il periodo di tutela legato alla maternità o alla paternità.
In sintesi, le dimissioni per giusta causa, pur essendo una scelta del lavoratore, sono considerate un evento che dà diritto alla NASpI e, di conseguenza, comportano l'obbligo per il datore di lavoro di versare il ticket di licenziamento all'INPS.
Quando l'impresa non è tenuta a pagare il contributo NASpI
Dimissioni del lavoratore
In generale, le dimissioni volontarie non comportano il pagamento del ticket NASpI, ad eccezione delle dimissioni per giusta causa.
Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
Anche in caso di accordo tra datore di lavoro e lavoratore per la risoluzione del rapporto, il contributo non è dovuto, tranne che per le aziende soggette alla tutela reale (con più di 15 dipendenti) in cui la risoluzione consensuale avviene in assenza di accettazione di una proposta di conciliazione.
Licenziamenti per cambio appalto
Se il licenziamento è conseguenza di un cambio di appalto e il lavoratore viene riassunto da un'altra azienda che subentra, il contributo non è dovuto.
Licenziamenti in alcuni settori
Nel settore edile, ad esempio, il contributo non è dovuto in caso di interruzione del rapporto di lavoro per chiusura o completamento del cantiere.
Decesso del lavoratore
Ovviamente, in caso di decesso del dipendente, il contributo NASpI non è dovuto.
Lavoratori vicini alla pensione
Il contributo non è dovuto se il lavoratore, al momento della risoluzione del rapporto, si trova a meno di 60 mesi dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata.
Inoltre, è importante sottolineare che il contributo NASpI non è dovuto se la cessazione del rapporto di lavoro, pur rientrando nelle casistiche che darebbero diritto alla NASpI, non comporta di fatto l'erogazione della prestazione al lavoratore.
Ad esempio, se un lavoratore ha un'anzianità aziendale troppo breve per maturare il diritto alla NASpI, o se ha già esaurito il periodo massimo di fruizione dell'indennità, il contributo non è dovuto.
Il contributo NASpI è calcolato in base all'anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi tre anni e corrisponde al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità.
Gentile Associato; è sempre consigliabile consultare un nostro esperto o il sito dell'INPS per avere informazioni dettagliate e aggiornate sulla normativa e le casistiche specifiche.